Dipendenza affettiva o “Droga d’amore”… un male sempre più diffuso

“Amare una persona è… Averla senza possederla. Dare il meglio di sé senza pensare di ricevere. Voler stare spesso con lei, ma senza essere mossi dal bisogno di alleviare la propria solitudine. Temere di perderla, ma senza essere gelosi. Aver bisogno di lei, ma senza dipendere. Aiutarla, ma senza aspettarsi gratitudine. Essere legati a lei, pur essendo liberi. Essere un tutt’uno con lei, pur essendo se stessi. Ma per riuscire in tutto ciò, la cosa più importante da fare è… accettarla così com’è, senza pretendere che sia come si vorrebbe”. Omar Falwort

Quale grande differenza tra lo scritto di Omar Falwort e quello che segue:

 “Amare è come una droga: all’inizio viene la sensazione di euforia, di totale abbandono. Poi il giorno dopo vuoi di più. Non hai ancora preso il vizio, ma la sensazione ti è piaciuta e credi di poterla tenere sotto controllo. Pensi alla persona amata per due minuti e te ne dimentichi per tre ore. Ma, a poco a poco, ti abitui a quella persona e cominci a dipendere da lei in ogni cosa. Allora la pensi per tre ore e te ne dimentichi per due minuti. Se quella persona non ti è vicina, provi le stesse sensazioni dei drogati ai quali manca la droga. A quel punto, come i drogati rubano e s’umiliano per ottenere ciò di cui hanno bisogno, sei disposto a fare qualsiasi cosa per amore”. Paulo Coelho

Si può essere dipendenti da sostanze, alcool, gioco d’azzardo, lavoro, sport, cibo… ma anche dagli stessi rapporti affettivi; è questo il significato della dipendenza affettiva, uno stato patologico nel quale la relazione di coppia è vissuta come condizione unica, indispensabile e necessaria, per la propria esistenza; chi vive questo tipo di dipendenza attribuisce all’altro, l’oggetto dell’amore, una importanza tale da annullare se stessi, non ascoltando i propri bisogni e le proprie necessità… tutto ciò per evitare di affrontare la paura più grande: la rottura della relazione!

In questo caso quindi l’amore può essere definito una “droga” e diventa, alla lunga, uno stato affettivo che in una coppia normale è destinato a portare alla distruzione della relazione. Perché è questo il risultato più comune? Per ogni essere umano l’amore è l’espressione di un sentimento di attaccamento, esprime un bisogno affettivo; ma quando questo bisogno diventa ossessione, perché è legato, ad esempio, alla paura di rimanere soli, questa forma di attaccamento diventa “malata” e si ha la sensazione di non poterne fare a meno. E allora ecco che stare con l’altro assume la forma di una dipendenza e senza si prova frustrazione, una sensazione simile a quella provata dai drogati quando hanno bisogno di una “dose”, una specie di crisi di astinenza, che il partner combatte con la ricerca attiva e continua del compagno: lo stare sempre insieme appaga questa sensazione di astinenza, ma che ovviamente è deleteria per il sano proseguimento della vita di coppia.

La dipendenza affettiva si manifesta in diverse forme:

molti si innamorano di persone non disponibili, alcuni diventano “semplicemente” ossessivi nei confronti dell’altro, alcuni non riescono ad abbandonare una relazione insostenibile anche se sono infelici, depressi, soli, trascurati o maltrattati, alcuni dipendenti affettivi usano il sesso per gestire i sentimenti, altri sono sessualmente annullati… Ciò che tutti hanno in comune è che sono impotenti di fronte ai loro pensieri, sentimenti e comportamenti per ciò che riguarda l’amore, le fantasie e la relazione.

In genere possiamo affermare che l’amore dipendente è opprimente, lascia pochi spazi personali: si manifesta nei confronti del partner un tipo di attaccamento che potremmo definire “ansioso”, si prova una continua necessità di sapere di essere amati dal proprio partner e si cercano costanti conferme; non si riesce a svolgere serenamente attività indipendenti e quando ciò avviene ci si sente “incompleti”, fino a una vera e propria sensazione di dolorosa mancanza.

Spesso si manifesta un profondo timore di non essere amati e un’enorme paura di perdere l’oggetto del proprio desiderio; per questo si possono scatenare sproporzionate e frequenti gelosie e diventa quasi impensabile l’idea di riuscire a rompere la relazione anche quando ci si rende conto di quanto essa sia problematica e generatrice di malessere.

Può accadere che chi tende ad avere questo tipo di personalità dipendente, arrivi a scegliere inconsapevolmente partner “problematici”, portatori a loro volta di altri tipi di dipendenza (droghe, alcool, gioco d’azzardo…). Il fine è di negare i propri bisogni, perché l’altro ha bisogno di essere aiutato, ma è un aiuto “malato” in cui si diventa “codipendenti”, anzi si rafforza la dipendenza dell’altro.

Spesso quindi la dipendenza affettiva, diversamente da quanto si potrebbe manifestare all’evidenza, non è un fenomeno che riguarda una sola persona, ma è una dinamica a due; capita quindi che il partner del “dipendente affettivo” possa essere, come dicevamo, un soggetto problematico e – detto in altri termini – i problemi del compagno diventano la giustificazione per dedicarsi interamente all’altro bisognoso, non prendendosi il rischio di condurre un’esistenza per sé.

Può anche accadere che la persona amata sia sfuggente o non raggiungibile, per esempio sposata o non interessata alla relazione. In entrambi i casi ciò che potrebbe sedurre è la lotta: la dipendenza si alimenta del desiderio di essere amati proprio da chi non ci ricambia in modo soddisfacente e cresce in proporzione al rifiuto, anzi se non ci fosse quest’ultimo, il presunto amore non durerebbe. 
La delusione a lungo andare può prendere la forma del  risentimento e a seconda della personalità del soggetto “rifiutato”, può sfociare in azioni come stalking o in altri comportamenti ossessivi e/o violenti.

Pensare però che ogni forma di dipendenza di questo tipo porti a conseguenze tanto gravi è un errore: gran parte delle dipendenze affettive si manifesta in modo molto più “soft” e anche solo frasi come “Facciamo quello che vuoi tu, per me va bene tutto mi basta stare con te”, “Non posso vivere senza di te”, “Sei la mia vita”, “Cambierò per te”, “Io sono tua/o”, mostrano i primi sintomi di questo male.

Il campanello d’allarme deve scattare già quando si desidera di voler quasi “gestire” l’altro o comunque di voler avere a tutti i costi la situazione sotto controllo, ogni volta che si prova l’angoscia di perdere la persona amata, ogni volta che si ha paura di essere traditi e si mettono in atto strategie per far sì che tutto questo non accada… attenzione però: la “sana gelosia” e il timore di perdere il proprio partner sono elementi quasi “fisiologici” anche di una relazione normale, il problema è se assumono connotati quasi incontrollabili.

Uno scritto molto interessante a riguardo è quello di Robin Norwood, autrice di uno dei più famosi libri sull’argomento: Donne che amano troppo. La Norwood afferma: “Molte donne commettono l’errore di cercare un uomo con cui sviluppare una relazione senza aver sviluppato prima una relazione con se stesse; corrono da un uomo all’altro, alla ricerca di ciò che manca dentro di loro; la ricerca deve cominciare all’interno di sé. Nessuno può amarci abbastanza da renderci felici se non amiamo davvero noi stessi, perchè quando nel nostro vuoto andiamo cercando l’amore, possiamo trovare solo altro vuoto.”

Questo può valere tanto per le donne, in misura maggiore a livello statistico, quanto per gli uomini.

L’autrice continua: Quando essere innamorate significa soffrire, stiamo amando troppo. Quando nella maggior parte delle nostre conversazioni con le amiche intime parliamo di lui, dei suoi problemi, di quello che pensa, dei suoi sentimenti, stiamo amando troppo.

Quando giustifichiamo i suoi malumori, il suo cattivo carattere, la sua indifferenza, o li consideriamo conseguenze di un’infanzia infelice e cerchiamo di diventare la sua terapista, stiamo amando troppo.

Quando non ci piacciono il suo carattere, il suo modo di pensare e il suo comportamento, ma ci adattiamo pensando che se noi saremo abbastanza attraenti e affettuosi lui vorrà cambiar per amor nostro, stiamo amando troppo.

Obiettivo Coaching

SCARICA I TUOI REGALI!

  • 101 citazioni per motivare le tue giornate
  • Il diario del giudizio (smetti di giudicare te e gli altri)
  • Il metodo 3k+ (usa un atteggiamento positivo)
  • I 4 passi per i tuoi obiettivi (hai un obiettivo?)

Quando la relazione con lui mette a repentaglio il nostro benessere emotivo, e forse anche la nostra salute e la nostra sicurezza, stiamo decisamente amando troppo.

Amare troppo è calpestare, annullare se stesse per dedicarsi completamente a cambiare un uomo “sbagliato” per noi che ci ossessiona, naturalmente senza riuscirci. Amare in modo sano è imparare ad accettare e amare prima di tutto se stesse, per potere poi costruire un rapporto gratificante e sereno con un uomo “giusto” per noi.

Quali sono quindi gli elementi comuni a chi soffre di dipendenza affettiva?

  • La sensazione di non poter fare a meno della persona amata;
  • L’oggetto d’amore diventa il centro dell’esistenza;
  • L’assoluta necessità di stare con il partner, intolleranza alla solitudine;
  • Si perde interesse per altre persone e aree della vita: spesso ci si ritrova a condividere interessi, sport, amicizie, ecc. dell’altro, non perché effettivamente siano comuni, ma perché ci si sforza per vivere “in simbiosi” con l’altra persona, arrivando anche a modificare i propri gusti in fatto di abbigliamento, cinema, abitudini…;
  • La notevole difficoltà a dire di “no”: si antepongono continuamente i desideri e i bisogni degli altri ai propri;
  • L’insicurezza nelle proprie capacità, quindi un basso senso di autostima;
  • Il bisogno costante di accudimento e/o rassicurazione;
  • Comportamenti sottomessi e/o eccessivamente aggressivi;
  • La difficoltà nella gestione sana di rabbia, paura e dolore;
  • L’eccessiva gelosia e possessività, che possono sfociare anche in comportamenti persecutori o aggressivi;
  • Il desiderio di controllare del tutto la vita della persona amata.

Il dipendente affettivo occupa inoltre, generalmente, una posizione inferiore (“one down”) nel rapporto di coppia, sebbene questo non escluda che possa succedere il contrario; esiste infatti anche la “dipendenza affettiva dominante”, in cui la personalità dipendente può palesemente assumere una posizione superiore “one-up”, o una posizione solo apparentemente “one down”, che in ogni caso le consente di controllare il rapporto.

Come in molte delle dipendenze, anche solo ammettere di esser caduti in una spirale più forte di noi diventa spesso complicato; la difficoltà nell’individuazione del problema sta anche nei modelli distorti di amore che possono far ritenere determinati abusi e sacrifici di sé come “normali”.

Nella maggior parte dei casi l’elemento più pericoloso, quello che “incatena” ancora di più alla relazione, è la speranza; attraverso questa il problema si cronicizza. Si spera in un cambiamento dell’altra persona che non avverrà, si spera che si modifichino le condizioni, che si trovi la forza interiore per dire “no”. Così, paradossalmente, l’inizio del cambiamento arriva quando si raggiunge il fondo e si sperimenta la mancanza di speranza, che ha la grande funzione di far abbandonare tutte le illusioni che fino a quel momento hanno nutrito la relazione di dipendenza. Probabilmente qui si comprende che chiedere l’aiuto di qualcuno è necessario e ci si concede la possibilità di iniziare un percorso psicologico che porti a un cambiamento interiore e che dia poi, in futuro, la possibilità di creare un rapporto a due sano.

Questo è il primo passo che porta a considerare la propria guarigione come una priorità che ha diritto di precedenza su qualsiasi altra. Ci si può rivolgere ad uno specialista e stanno prendendo sempre più piede i gruppi di auto-mutuo-aiuto, molto simili a quelli degli alcolisti anonimi, dove si sperimenta la libertà di parlare con individui che hanno vissuto la stessa esperienza di dipendenza e che sono intenzionati a lasciarsela alle spalle.

La partecipazione al gruppo, oltre a permettere un confronto con chi sta attraversando difficoltà simili, può aiutare a sperimentare concretamente modalità di relazione più efficaci e salutari.

L’ambiente protetto e anonimo, permette di mettersi in gioco in una situazione stimolante e non giudicante. In questo contesto il confronto con gli altri diventa occasione per sperimentare nuovi modi di essere, strategie e narrazioni di sé alternative.

Attraverso questi strumenti si impara a smettere di voler controllare gli altri, a non lasciarsi invischiare in giochi di interazione, a sviluppare il proprio lato spirituale (che spesso non ha nulla a che fare con la religione), a coltivare qualsiasi bisogno “egoista” che è giusto che sia soddisfatto in se stessi.

La persona che guarisce dal cd. “mal d’amore”, riesce a accettare pienamente se stessa, anche se può desiderare di cambiare qualche aspetto della sua personalità, accetta gli altri per come sono, senza cercare di cambiarli, è consapevole del suo modo di essere, dei suoi sentimenti e del suo atteggiamento verso ogni aspetto della vita, compresa la sessualità. Si riscopre capace e del tutto meritevole di rispetto; l’autostima aumenta e non c’è più necessità che qualcun altro abbia bisogno di lei per avere l’impressione di valere qualcosa. Se si accorge che una relazione è distruttiva è capace di lasciarla perdere senza cadere in depressione, ma accettando l’eventuale dolore di una separazione come un elemento naturale della propria esistenza. Ricomincia ad avere interessi propri e amicizie e si riapre alla vita.

Invece quindi di essere una persona che ama qualcun altro tanto da soffrirne, si inizierà ad essere una persona che “ama abbastanza se stessa da non voler più soffrire” (cit).

a cura di Angela Pollastrini

Obiettivo Coaching

SCARICA I TUOI REGALI!

  • 101 citazioni per motivare le tue giornate
  • Il diario del giudizio (smetti di giudicare te e gli altri)
  • Il metodo 3k+ (usa un atteggiamento positivo)
  • I 4 passi per i tuoi obiettivi (hai un obiettivo?)

  • E’ vero, ho avuto un’esperienza simile e noto totale assonanza con quanto descritto nell’articolo. Nel mio caso i Coda, i gruppi di mutuo aiuto per le dipendenze affettive, sono stati importantissimi per la mia guarigione e oggi vivo una vita più serena sia grazie alle persone che ho incontrato lì, sia ai miei amici e familiari che mi sono stati accanto nonostante le mie debolezze.
    Un bell’articolo, senza troppi fronzoli psicologici e pienamente veritiero.